QUIDDITAS
paola angelini, luigi carboni, gabriele di matteo, matteo fato
a cura di Alberto Zanchetta
Quattro artisti, due diverse generazioni, un progetto corale e caleidoscopico che mette in risalto la commistione di stili, tecniche e linguaggi afferenti la disciplina pittorica. Tra prossimità e affastellamenti, gli artisti stabiliscono un dialogo serrato basato sulle specificità della propria ricerca, quell’unicità che alla resa dei conti non è mai monocorde, bensì proteiforme.
Gabriele Di Matteo ha sempre cercato di mettere in discussione l’autorialità del pittore, minando l’originalità e la singolarità dell’opera. La sua acuta e sovversiva ironia è in grado di riconoscere stringenti affinità tra un pittore e un’astronauta, così come tra gli interventi di land art di Robert Smithson e gli scorci naturalistici della Scuola di Posillipo, ma riesce anche a convertire una piccola scultura in un ipertrofico disegno attraverso l’ausilio della fotografia.
Luigi Carboni coniuga i valori della pittura e le qualità dell’ornamento; sovrapponendo e stratificando di continuo gli elementi figurativi-decorativi giunge a definire una fitta tessitura, multicolore e ancor più multiforme. Oltre alla libera sperimentazione delle opere di medio-piccolo formato, Carboni presenta una scultura dipinta in modo mimetico, quasi fosse una seconda pelle che aderisce perfettamente al materiale in cui è stata scolpita.
Matteo Fato impiega diversi linguaggi, dalla fotografia al collage, dal disegno alla scultura, tecniche che hanno valore unicamente perché appartengono alla realtà della pittura. Nel suo caso la pittura non è mai una semplice superficie ma un oggetto metapittorico, più precisamente un apparato concettuale in cui il significato collima con il significante, e il contenitore (la cassa da imballo) con il proprio contenuto (il quadro incorniciato).
Paola Angelini trasforma la tela in un impluvio di umori e urgenze, tentativi e azzardi, alla ricerca di un’immagine risolutiva. Caratterizzate da una tavolozza esuberante e da una stesura fortemente espressiva, le sue opere tendono ad aggredire l’occhio dello spettatore, alzandone la soglia d’attenzione, fermo restando che l’obiettivo finale è quello di reinterpretare i codici della Pittura di genere.
Districandosi tra inganni e adescamenti, tra “ecceità” (principio deterministico per cui ogni ente si distingue dagli altri) ed “eccetera” (ossia tutto ciò che sta intorno alla prassi pittorica), la mostra intende riflettere sull’identità dell’ars picta e sulle sue infinite ramificazioni.